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Bourdieu, "il sociologo di tutte le battaglie", uno degli ultimi grandi
intellettuali "made in France", è morto mercoledì notte
in un ospedale parigino. Il cancro che lo consumava da tempo ha avuto
ragione dei suoi 71 anni. Sui media francesi, pur sottomessi ad una
logica commerciale crescente, come egli sosteneva, la notizia ha fatto
l'effetto di una bomba. Con Pierre Bourdieu, filosofo, direttore di
studi all'"Ecole des hautes études en sciences sociales", professore
al Collegio di Francia, non scompare solo l'accademico fondatore di
una scuola della sociologia critica della modernità, ma anche
un protagonista dell'impegno sociale e politico. Bourdieu è
stato sempre, e soprattutto negli ultimi dieci anni, un intellettuale
preoccupato di intervenire nel dibattito pubblico, che si trattasse
di combattere il governo Juppé, deciso secondo lui a interrare
lo stato sociale, o di sostenere i "sans papiers", gli immigrati clandestini.
Il tutto nella più pura tradizione francese, da Zola e da Sartre.
Il libro che gli diede la fama internazionale, pubblicato nel 1964
insieme a Jean Claude Passeron, fu Les héritiers (Gli eredi).
Quattro anni prima del Sessantotto il filosofo tracciava un'analisi
del sistema universitario francese, cinghia di trasmissione dello
statu quo sociale e delle differenze culturali ed economiche. Da allora
la sua analisi ha toccato i temi più diversi, come l'arte,
la letteratura, la politica, i media, la dominazione maschile. E'
del 1993 La miseria del mondo, un'inchiesta sulla sofferenza sociale,
che conobbe un formidabile successo di pubblico. In quello stesso
anno il Cnrs gli attribuì la medaglia d'oro per aver "rigenerato
la sociologia francese, associando in permanenza il rigore sperimentale
con la teoria fondata su di una grande cultura in filosofia, antropologia
e sociologia".
La battaglia degli ultimi dieci anni è stata quella contro
il neoliberismo sotto tutte le sue forme. Nel 1992, in un'intervista
a Le Monde rivendica il diritto e il dovere della critica, in particolare
contro i politici che praticano "il pensiero unico": "Non esiste democrazia
effettiva senza un vero contropotere critico. L'intellettuale rappresenta
uno di questi, e di prima grandezza".
Le sue ultime energie sono andate alla lotta contro la mondializzazione,
autentica "sottomissione alle leggi del commercio". Primi strumenti
di questa sottomissione, i media: in Domande ai veri padroni del mondo,
Bourdieu denuncia: "Il potere simbolico, che nella maggior parte delle
società era distinto dal potere politico o economico, è
oggi riunito tra le mani delle stesse persone che detengono i grandi
gruppi di comunicazione, cioè l'insieme degli strumenti di
produzione e di diffusione dei beni culturali".
Il sociologo Luc Boltanski, direttore di studi all'"Ecole des hautes
études en sciences sociales", ha espresso ieri sulle pagine
di Le Monde un giudizio in chiaro-scuro. Dopo aver ricordato la grande
qualità del professore Bourdieu, di cui è stato allievo
alla Sorbona negli anni Sessanta- Settanta, Boltanski giudica meno
positivamente il suo lavoro di ricercatore: "Bisogna distinguere un'opera
importante e discutibile, nel buon senso del termine, dalla specie
di agit-prop degli ultimi anni, coltivato da un gruppo di seguaci
dogmatizzati. Come Lacan, aveva attorno un piccolo gruppo di seguaci
autoproclamati che funzionavano come una setta politica e che si servivano
di questa appartenenza come di un mezzo per fare carriera".
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