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E' morto
a settantun anni il filosofo che molti consideravano erede di Sartre.
Famosi i suoi studi sull'universo femminile. Idolo dell'ultrasinistra,
denunciò la "prostituzione ai mass-media".
n
giorno, nel 1995, il sociologo Pierre Bourdieu manifestò e
fece lezione agli studenti sul tetto del Collège de France.
Tirava un vento gelido, erano tutti intirizziti, ma nessun ragazzo
perse una parola di quel professore dai tratti virili, del pensatore
ormai conosciuto come l'erede di Sartre. Era dalla scomparsa dello
scrittore della Nausea che l'ideale movimentista non s'incarnava in
un personaggio così vitale e così intellettualmente
muscoloso. Tutto in lui assumeva il sapore della protesta, anche la
sua morte a 71 anni, avvenuta ieri e causata da un cancro, Bourdieu
l'avrebbe voluta nascondere per non dare soddisfazione ai suoi nemici,
all'intellighentsia fasulla di una Parigi senza "lumières",
se non quelle di vacillanti candele cerebrali. E con Bordieu muore
il coraggio di dire no alla tv, agli orpelli della carta stampata
e alle sirene virtuali e cinematografiche. Tempo fa disse, parola
più, parola meno: essere di sinistra, sventolare bandiere rosse
o anarchiche, lanciare propositi infiammati e poi darsi docilmente
ai palcoscenici dei media con interminabili blablabla è come
baciare, nascostamente, le chiappe del capitalismo e della mondializzazione.
Era una specie di Catone rosso dei nostri giorni ed era odiato, terribilmente
odiato. In Italia avrebbe fatto strage.
Nel
1998, il suo libro La domination masculine , tutta una scalata intellettuale
delle più ardite tra pastori della Cabilia e Virginia Woolf,
volle dimostrare che la società è organizzata intorno
alla dualità uomo-donna in tutti gli aspetti della vita. Ricordiamo
questa sua immagine: è maschile l'"alto", il "sopra", il "secco",
il "duro"; è femminile l'"umido", il "molle", lo "sciapo",
l'"oscuro". Le donne non debbono mai temere di essere se stesse, anche
se, apparentemente, ne escono "male", sono giudicate negativamente.
Alcune tra le femministe più sapienti di Francia reagirono
in modo feroce.
Solitario
e ispido, Bourdieu era una delle figure maggiori della sociologia
contemporanea. Direttore dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociale nel 1964 e professore al Collège de France dal 1982,
le sue lezioni a Princeton, Harvard e al Max Planck Institut di Berlino
erano prese d'assalto dagli studenti. Per lui il sociologo era "philosophe-roi".
Specie quando la sua collera sollevava marosi, come fu il caso, nel
1994, col libro Misère du monde in cui Bourdieu denunciava
l'esclusione, meglio delle fotografie di Cartier-Bresson e dei cameramen
che si aggirano in Africa e in Afghanistan nei nostri giorni.
Era
un guru dell'ultrasinistra, un uomo della "gauche de gauche", definito
dalla destra pensante uno spietato settario. Bourdieu era catalogato
con i peggiori ritratti negativi: "homo bolscevicus", "maoista decerebrato",
"un quasi Céline", "manipolatore di giovani". Fino all'ultimo,
nel letto dell'ospedale Saint-Antoine, il manipolatore ha corretto
i lavori dei suoi allievi.
L'oppressione
dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla donna, sosteneva in sostanza
Bourdieu, era tanto scontata da farsi legge e da essere accettata
dalle stesse vittime. Lo sosteneva anche Marx. Ma Bourdieu aggiungeva
che una vera sociologia doveva smantellare questa fatalità,
la critica doveva sbriciolare la critica, per di più dopo il
diktat che non c'era mondo migliore del liberismo dopo la caduta del
muro di Berlino. Tentava di vedere la realtà sociologica in
modo nuovo attraverso quella che chiamava una rivoluzione simbolica.
Anzi, la violenza simbolica strumentalizzata talora dalla cultura
neocapitalista che restaura il passato e si presenta come progressista,
che trasforma la regressione in progresso. "Per questo motivo - diceva
Bordieu - bisogna urlare perché dobbiamo restaurare l'utopia,
uno degli scopi di questi governi neo-liberali è proprio quello
di uccidere l'utopia".
Aveva
un'avversione naturale per la politica. Se ne può avere un'idea
ricordando che, nel 1980, aveva sostenuto la candidatura all'Eliseo
di un comico popolare come "Coluche". La Francia dei Lumi Rossi si
è sempre chiesta: abbiamo bisogno di Bourdieu e della sua "sociologia
della dominazione"? In un suo libro, la storica Jeannine Verdès-Leroux
ha tentato una risposta: "Le opere di Bourdieu rivelano un'ossessione,
quella di credersi Dio". Nell'universo spietato di Bourdieu l'uomo
resta un lupo nei confronti della donna. Forse la storica Verdès-Leroux,
come dissero gli amici del sociologo dopo la pubblicazione del libro,
amava essere morsa. Ma Bourdieu non l'azzannò, non rispose.
L'accusa
di "terrorismo sociologico" fece apparire sulle labbra del professore
uno di quei suoi sorrisi alla Clint Eastwood. Bourdieu sapeva di piacere
solo a pochi intimi e tra questi pochi intimi le donne erano in maggioranza.
Ai loro occhi era il più grande sociologo del Duemila, il pensatore
che permetteva loro di esistere, di dare alla vita il sapore dell'impegno.
Senza mai abbandonare, né sui tetti del Collège de France,
né durante le manifestazioni, il rigore della scientificità.
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