|
Lo
studioso francese scompare dopo lunga malattia a settantuno anni.
Fra i pochi a dimostrare i limiti della globalizzazione da sempre
critico di ogni establishment.
a
maggior parte delle opere di Pierre Bourdieu sono di difficile lettura
anche per chi fa il suo stesso mestiere, figuriamoci per il pubblico
o per gli studenti. Complessità letteraria del linguaggio,
ardue implicazioni epistemologiche, struttura pluricentrica del testo
hanno sempre richiesto al lettore di Bourdieu un impegno fuori del
comune prima di arrivare ad apprezzarne i contenuti. Tuttavia, se
si dà un'occhiata nella Rete si scopre che i riferimenti a
Bourdieu sono oltre 38.000. Nessun sociologo contemporaneo appare
altrettanto citato nel Web. Ad esempio il pur famoso Alain Touraine,
suo strenuo (e sconfitto) competitore una dozzina di anni fa quando
si trattò di accedere al Collège de France, si ferma
a meno di 15.000.
Poiché
come indice di pubblica affermazione il Web è oggi più
significativo e stabile che non la Tv, vien da chiedersi come un autore
concettualmente così ostico sia diventato così popolare.
Una risposta possibile è che Bourdieu, sin dagli inizi intellettuale
"contro", "sociologo della discordia", da sempre oppositore e critico
di ogni forma di establishment – anche di sinistra – abbia visto i
tempi muoversi in modo tale da farne risaltare la posizione, più
che adoperarsi di proposito per conquistarsi un ampio spazio mediatico.
Quando pubblicava I delfini: gli studenti e la cultura (Guaraldi 1971;
orig. 1964), o La riproduzione: teoria del sistema scolastico ovvero
della conservazione dell'ordine culturale (Guaraldi 1972; orig. 1970),
ambedue con la collaborazione di J.C. Passeron, non c'era forse studioso
europeo di scienze sociali che non dicesse, seppure con minor incisività,
cose simili a quelle che diceva Bourdieu. Ossia che sono i figli delle
classi superiori ad accedere in maggior numero alle migliori scuole,
ad uscirne con i voti più alti, e combinando tutto ciò
con il capitale di relazioni sociali delle loro famiglie vanno poi
rapidamente ad occupare le posizioni più alte nell'economia,
nella pubblica amministrazione, nella cultura. E anche quando lavorava,
negli anni '60, alla monumentale ricerca su La distinzione: critica
sociale del gusto, intervistando oltre 1200 soggetti circa le loro
personali preferenze in tema di musica, arte, teatro, arredamento
e letteratura, (Il mulino, 1983; orig. 1979) Bourdieu dava una ulteriore
prova di originalità e ampiezza di analisi, ma restava tutto
sommato nella corrente principale degli studi sociologici sui rapporti
tra società e cultura.
Per
contro, un quarto di secolo dopo, in tutta Europa, non soltanto i
sociologi, ma anche economisti e scienziati sociali d'ogni specialità,
si impegnavano nel dimostrare che la globalizzazione reca soltanto
benefici, lo sviluppo economico ha eliminato la povertà, le
classi sociali non esistono più e i progetti di demolizione
dello stato sociale vanno incoraggiati per il bene comune. In Francia,
come in Europa, Bourdieu si trovò quindi pressoché solo
a dire, e a cercar di dimostrare con la ricerca, che non era tutto
vero, quando non era vero il contrario. Tra le sue opere impegnate
in questo senso va ricordata anzitutto la straordinaria Misère
du monde (1993), fondata su una cinquantina di lunghe interviste raccolte
con un sapiente impianto metodologico. Sono racconti dal quotidiano
di donne poliziotto e lavoratori interinali, magistrati e operai,
funzionari e disoccupati che la società ha escluso o in altri
modi ha sconfitto, non per loro colpa. D'un tono così drammaticamente
alto, nella loro immediatezza, da far dire che per una volta almeno
la ricerca sociologica ha scavato nell'esperienza e nelle emozioni
delle persone più di un buon romanzo.
Con
queste e altre opere successive Pierre Bourdieu si è sottratto
alla quasi generale trahison des clercs che ha contraddistinto gli
anni '90 e i primi anni del nuovo secolo. I giovani, soprattutto,
lo hanno capito e seguito, quelli che non si riconoscono più
in quasi nulla ma che hanno conservato, quanto meno, la voglia di
vedere al di là dell'apparenza delle cose così come
sono loro dipinte. Quella capacità che i clercs avrebbero dovuto,
dovrebbero, aiutare a formarsi, ma per la quale la maggior parte di
loro non sembra abbiano più il tempo o la motivazione. Dal
consenso dei giovani Bourdieu è stato quasi travolto, e certo
la sua sovraesposizione mediatica avrà fatto alzare più
di un sopracciglio tra coloro che votarono a suo tempo per conferirgli
l'austera cattedra al Collège de France. Ma il "sociologo contro"
non sembrava preoccuparsene più di tanto.
|
|