|
onsiderare,
al giorno d'oggi, l'opera, il pensiero e le teorie di Pierre Bourdieu
equivale a infilare due dita in una presa elettrica: se ne può
uscire illuminati o carbonizzati», scriveva un paio d'anni orsono
il Magazine Littéraire in apertura del dossier dedicato
al grande studioso. «Lo si può definire un intellettuale
dominante?»
Figura controversa, senza alcun dubbio, quella di Bourdieu. Tuttavia
all'unanimità lo si considera fra gli intellettuali francesi
più influenti degli ultimi anni e, insieme con Jacques Derrida
fra i più citati e i più tradotti nel mondo: trattando
di svariati argomenti - dai costumi dei berberi della Cabiria al lavoro
in Algeria, agli studenti e ai loro studi, alla sociologia della cultura
e dell'educazione, alla linguistica e all'arte moderna - ha rilanciato
la figura dell'intellettuale organico, o impegnato, mettendo le sue
conoscenze al servizio del «sociale». Alla sociologia
non spetta soltanto spiegare le strutture della società, ma
contribuire a cambiare il mondo. Insomma, non basta aggiornare la
rappresentazione che hanno gli individui delle strutture della società,
ma agire su queste rappresentazioni stesse. «Gli intellettuali
non possono più soltanto analizzare e denunciare, ma affermare
la loro appartenenza a un campo specifico, indipendente dal politico
e dall'economico». Controcorrente quindi, ben lungi dal proclamare
la fine degli intellettuali, Bourdieu si è appellato a un impegno
«internazionale, interdisciplinare e collettivo». E' stato
studioso e militante al tempo stesso.
La sociologia di Bourdieu può dirsi innovativa in quanto propone
«un modo non consueto di studiare il mondo sociale» attribuendo
un ruolo non poco rilevante alle strutture simboliche. E questa volontà
di «superare le false antinomie» della tradizione sociologica
- tra interpretazione e spiegazione, fra struttura e storia, fra libertà
e determinismo, fra soggettivismo e oggettivismo che rendono originali
le sue opere. In Le sens pratique (1980), spiegò
ciò che riteneva fosse il compito del sociologo: dare a vedere
che vi è di nascosto in queste strutture, insomma dimostrare
che la società non è mai trasparente come si crede.
Far parlare gli algerini fin da Travail et travailleurs
en Algérie (1963), gli emarginati francesi in La
misère du monde (1993), sostenere gli scioperanti del
dicembre 1995, significa per Bourdieu comprendere la logica sociale
immergendosi nella particolarità empirica e significa tentare
di trasformarla. E in questa logica ha sostenuto Solidarnosc, gli
studenti nel 1986, gli accordi di pace per la Nuova Caledonia nel
1988, gli intellettuali algerini perseguitati dagli integralisti.
Negli ambienti accademici lo si conobbe nel 1964, allorché,
in collaborazione con Jean-Claude Passeron, pubblicò Les
héritiers. Les étudiants et la culture: ben quattro
anni prima del maggio '68, criticò duramente l'insegnamento
superiore in Francia, il sistema scolastico e universitario chiuso
ed «elitario». Intendeva per gli héritiers i
figli delle élites. Sull'incapacità di garantire il
ricambio tornò nel 1990, sempre con Passeron, in La reproduction.
Eléments pour une théorie du système
d'enseignement.
Negli anni '90 tentò di portare all'attenzione delle cronache
il movimento sociale e di incarnare quella che per lui era «una
sinistra di sinistra», contro il neoliberismo, che rifiutasse
i compromessi consentiti, a suo avviso, dal Partito socialista, la
«blairizzazione» della sinistra al governo. Contro il
silenzio dei politici, chiamò a mobilitazione gli intellettuali:
«Intendo difendere la possibilità e la necessità
di un intellettuale critico» spiegò. Poiché «non
vi è vera democrazia senza un reale contropotere critico. E
questo è l'intellettuale». E nella rivista da lui fondata,
Actes de la recherche en sciences sociales, fu passata
al setaccio l'innocenza degli intellettuali e degli scrittori, e i
loro fatti e gesta ricollocati nei rispettivi interessi individuali.
Alla battaglia contro il neoliberismo Bourdieu aveva dedicato
tutte le sue energie, attaccando i mass-media, che riteneva sottomessi
a una crescente logica commerciale e ai quali rimproverava di dare
la parola a «saggisti chiacchieroni e incompetenti». In
uno dei suoi ultimi interventi, nel 1999, si era rivolto ai responsabili
dei grandi gruppi di comunicazione: «questo potere simbolico
che, nella maggior parte delle società, era distinto dal potere
politico ed economico, è adesso tutto insieme nelle mani delle
stesse persone, che detengono il controllo dei grandi gruppi di comunicazione,
cioè dell'insieme degli strumenti di produzione e di diffusione
dei beni culturali».
Per dare spazio a voci denuncianti il liberismo e la corruzione dei
mass-media aveva fondato nel 1996 L'Associazione «Liber/Raisons
d'agir», che pubblicava volumi socialmente impegnati. Sur
la télévision, primo testo apparso, metteva in evidenza
i meccanismi della censura invisibile esercitata sul piccolo schermo,
analizzava i procedimenti di fabbricazione delle immagini e dei discorsi
televisivi, e spiegava anche la maniera in cui la logica dell'audience
ha alterato le diverse sfere della produzione culturale.
Ancora nel 1998, mentre appariva La domination masculine,
- ispirato al racconto di Virginia Wolf Passeggiata al
faro, in cui torna sul rapporto uomo-donna, tentando di esplorare
le «strutture simboliche di quell'inconscio androcentrico che
sopravvive al giorno d'oggi negli uomini e nelle donne».- sosteneva
la causa dei disoccupati e, in un intervento all'Ecole Normale Supérieure
della rue d'Ulm, definì: «Il movimento dei disoccupati
un miracolo sociale».
|
|