Pierre Bourdieu | ||||||||||||||
sociologue énervant | ||||||||||||||
Des textes de l'impétrant | ||||||||||||||
Le azioni dei disoccupati sono in crescita. | ||||||||||||||
| & Frédéric Lebaron, Gérard Mauger, sociologi. | |||||||||||||
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elle e quelli che ci siamo abituati a definire "esclusi" - esclusi provvisoriamente, temporaneamente, a lungo o definitivamente dal mercato del lavoro - sono quasi sempre anche esclusi dalla parola e dall'azione collettiva. Cosa succede quando dopo anni di sforzi isolati e apparentemente disperati di alcuni militanti, necessariamente minoritari, un'azione collettiva riesce finalmente a rompere il muro dell'indifferenza mediatica e politica? Prima, il risibile panico e l'astio appena dissimulato di certi professionisti della parola, giornalisti, sindacalisti e uomini e donne politici, che hanno visto in queste manifestazioni di disoccupati solo l'inaccettabile messa in causa dei loro interessi di tipo "bottegaio", del monopolio della loro opinione ufficiale sulla "esclusione" e sul "dramma nazionale della disoccupazione". Di fronte a questa mobilitazione insperata, questi manipolatori professionali, questi presenzialisti degli show televisivi, hanno visto solo "manipolazione della miseria", una "operazione a scopo mediatico", l'illegittimità di una "minoranza" o "l'illegalità" delle azioni pacifiche. Dopo abbiamo potuto vedere l'allargamento e l'irruzione sulla scena mediatico-politica di una minoranza di disoccupati mobilitati. La prima vittoria conquistata dal movimento dei disoccupati, è la stessa nascita di questo movimento (che contribuisce anche a dirottare dal Front National un elettorato popolare disorientato). Il movimento dei disoccupati è la bozza di un'organizzazione collettiva e la catena di effetti di cui è il prodotto e che contribuisce a produrre: dall'isolamento, la depressione, la vergogna, l'individualismo, la ricerca di capri espiatori, alla mobilitazione collettiva; dalla rassegnazione, la passività, il ripiegamento su se stessi, alla presa di parola; dalla depressione alla rivolta, dal disoccupato isolato al collettivo di disoccupati; dalla miseria alla rabbia. È così che lo slogan dei manifestanti finisce per verificarsi: "chi semina miseria, raccoglie rabbia". Ma si colgono anche alcune analisi essenziali sulla società neoliberista, che già avevano fatto sorgere il movimento di novembre-dicembre '95 e che i potenti apostoli del "pensiero Tietmeyer" si sforzano di dissimulare. A cominciare dalla relazione indiscutibile fra tasso di disoccupazione e tasso di profitto. I due fenomeni, il consumo sfrenato degli uni e la miseria degli altri, non sono solo concomitanti - mentre alcuni si arricchiscono dormendo, gli altri si impoveriscono ogni giorno di più - ma anche interdipendenti: quando la Borsa ride, i disoccupati soffrono. L'arricchimento degli uni è legato alla pauperizzazione degli altri. La disoccupazione di massa rimane infatti l'arma più efficace di cui possa disporre il padronato per imporre la stagnazione o l'abbassamento degli stipendi, l'intensificazione del lavoro, la degradazione delle condizioni di lavoro, la precarizzazione, la flessibilità, l'attuazione di nuove forme di dominio nel lavoro e lo smantellamento del codice del lavoro. Quando le imprese licenziano, con uno dei piani di ristrutturazione annunciati con forza dai media, le loro azioni in borsa si impennano. Quando negli Stati Uniti è annunciato un abbassamento del tasso di disoccupazione, Wall Street reagisce con un calo. In Francia, il '97 è stato l'anno di tutti i primati per la Borsa di Parigi. Ma soprattutto, il movimento dei disoccupati rimette in causa le divisioni metodicamente mantenute fra "buoni" e "cattivi" poveri, fra "esclusi" e disoccupati, fra disoccupati e lavoratori. Questo movimento costringe a considerare che un disoccupato è virtualmente un disoccupato di lunga durata, e quindi un prossimo escluso, ma anche che l'esclusione dall'Unedic implica anche la condanna all'assistenzialismo; per questo il movimento dei disoccupati mette in discussione la divisione fra "esclusi" e "disoccupati": inviare i disoccupati ai servizi sociali, vuol dire revocare il loro status di disoccupato e spingerli all'esclusione. Gli sgomberi con la forza non sgombereranno il "problema". Perché la causa dei disoccupati, che è anche quella degli esclusi, dei precari e dei lavoratori, e che condanna alla sottomissione coloro che hanno la fortuna provvisoria di esserne esenti, si rivolta contro chi ha basato la sua politica (bell'esempio di socialismo!) sulla cinica fiducia nella passività degli sfruttati. |
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