La sovversione dell’anima è declinata nelle più variegate sfumature, dal bianco conducono al nero, e dalle tenebre scivolano nuovamente verso chiarori luminosi, la rifrazione della luce accende i grigi, illuminandoli di scintille che accendono la notte; barlumi lattescenti scivolano liquidi tra le pieghe più nascoste della mente umana.
Rileggendo
le trame del noir, F. J. Ossang libera la materia filmica plasmandola
in un ibrido di contaminazioni fra generi e forme con un’esplosione
anarchica, creando un corpo unico, un organismo libero fagocitante
esperienze e derive narrative.
La storia narra di un cargo in
viaggio alla volta di una “virtual zone”, l’isola di Nowhereland, una
nave fantasma in rotta verso l’isola che non c’è, un non luogo dove sono
diretti Magloire (Paul Hamy) e strambi personaggi, a bordo una cassa di
polonio, materiale esplosivo pronto a detonare. «La nave volava, si
schiantava contro le mantelline, stellava i muri. Qua e là, negli
intervalli di notte, fra i lampioni, si vedeva il dettaglio di un volto
rosso dalla bocca spalancata, di una mano che indica il bersaglio.» (J.
Cocteau 2015, pag. 17)
Un percorso, seguendo il flusso della follia, in un luogo fantastico, come il cinema di Ossang, così insurrezionale e terrorista, come un congegno pronto a tuonare in qualsiasi momento. Antonin Artaud sovente dipingeva come «velenosa» ed «eccitante» la settima arte, la rivelazione di un «imponderabile», di una «liberazione delle forze oscure del pensiero»: l’immagine, nell’accezione artaudiana, è un insieme di forze esoteriche e misteriose che sono pura emanazione «della vibrazione stessa e della stessa origine incosciente, profonda, del pensiero» (A. Artaud 2001, pag. 147).
Ossang dà vita a una struttura anarchica, dotata di uno sconquassante potere tellurico, con un bianco e nero espressionista e dalle nebulose atmosfere oniriche. 9 Doigts, presentato in concorso a Locarno70, dove ha vinto il Pardo per la migliore regia, è un’opera squisitamente punk, una composizione visionaria, vicina per fragore alla musicalità dei New York Dolls o dei britannici Sex Pistols; un’astrazione che dal classicismo del noir anni Quaranta scivola in una rapsodia metafisica dai toni allucinati.
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